di Carlo Bonini
Era il leader dei disobbedienti al G8 di Genova. Sabato scorso, a Roma, era sul camion di “Uniti per l'alternativa”. In mezzo, Luca Casarini, 44 anni, veneto di Marghera, ci ha messo due figli piccoli, una partita Iva da lavoratore autonomo, 2 anni e 6 mesi di carcere definitivi, e “indultati” per reati di piazza, nessuno dei quali per violenza sulle persone.
Dice: “Quello che ho visto a Roma è stato ripugnante. Una minoranza organizzata militarmente ha violentato, messo in pericolo, umiliato una straordinaria moltitudine che chiede il cambiamento e con lei uno spazio pubblico di nuova democrazia che ha preso vita in tutto il pianeta. Con quale risultato? Un'immediata richiesta di repressione generalizzata del dissenso. Un gran bel lavoro sporco a esclusivo vantaggio di un potere corrotto e delegittimato”.
Luca Casarini crede al complotto?
“No. Dico che i
“neri” sono i migliori alleati del Sistema che sostengono di
voler abbattere. Perchè sono funzionali e reciproci di quel Sistema.
E ne traggo delle conseguenze. Dico che è venuto il momento delle
scelte”.
Quali scelte?
“Ognuno dovrà
decidere con chi stare. Quale è la sua gente. Per me il movimento è
un méta-luogo, ma uno spazio democratico. Io, per dirne una, venerdì
sarò di nuovo a Roma con la Fiom per difendere il diritto a
manifestare”.
I “neri” rivendicano un diritto
alla rabbia che mutua argomenti del Movimento.
“E'
un'operazione da falsari. La rabbia è una malattia. La rabbia è
anche nei neo-nazisti, nei razzisti in chi attua i progrom dei Rom in
Bulgaria, nei martiri di Al Qaeda. Noi, al contrario, dobbiamo
impedire che la rabbia annulli il progetto di cambiamento di una
nuova società. A maggior ragione se la rabbia viene declinata
cinicamente in gesto narcisista e autosufficiente. Roba da D'Annunzio
più che da Che Guevara. Meglio, da “Mortal Combat”, il
videogame. Insomma, basta con le ambiguità. Non esiste nessun
progetto di cambiamento politico positivo costruito sul rancore.
Sappiamo cosa ne è stato e ne è delle comunità rancorose. Dove c'è
guerra non c'è spazio per il conflitto. Quello spazio c'è solo dove
esiste democrazia.
Cosa significa “basta con le
ambiguità?”
“Significa
che è venuto il momento che il movimento recuperi il senso di
realtà. Significa rinunciare a certa sociologia d'accatto, a certo
radicalismo chic dei salotti di sinistra che non hanno perso il vizio
di fare gli apprendisti stregoni con le vite degli altri. Significa
chiudere per sempre con la maledizione degli anni 70, che sono
finiti. Fi-ni-ti. E anche male”.
A proposito di ambiguità, come la
mettiamo con la questione violenza-non violenza?
“La mettiamo
così: molti nel mondo ci hanno insegnato che reagire a
un'ingiustizia, a un sopruso, non è violenza. Bruciare e picchiare
per il gusto di farlo è un atto di idiozia inaccettabile”.
Insisto sull'ambiguità. In Val di
Susa esiste un movimento No Tav, ma in quella valle c'è chi
periodicamente si da appuntamento per un “mortal combat” nei
boschi. Non è il caso, anche lì, di sciogliere il nodo?
“Accostare il
movimento No Tav ai fatti di Roma serve solo a criminalizzare una
esperienza straordinaria di lotta che decide le sue pratiche. Così
deve essere. Così doveva essere anche il 15 ottobre. Ognuno deve
poter scegliere come costruire il proprio modo di lottare.
Dicono che lei parli da leaderino.
Che Sel le abbia promesso un seggio in Parlamento. Pensa al Palazzo?
“Dietro le mie
parole c'è la discussione di una comunità politica. Il resto è
pettegolezzo e diffamazione piccola piccola. A me interessa voltare
pagina, ritrovarmi con chi vuole il cambiamento”.